La terapia genica: dalla fantabiologia ai primi farmaci in commercio

Da sempre la natura modifica i nostri geni in modo casuale. Si stima che l’8% circa del DNA umano sia in realtà di origine virale, poiché porzioni di DNA che si sono inserite nel nostro corredo genico sono poi diventate parte dello stesso nel corso di millenni.

Solo da pochi decenni, però, si è pensato di “modificare” il DNA umano in modo mirato, e sfruttando i virus, con l’obiettivo di curare malattie dovute a difetti genetici.

Cos’è la terapia genica
La terapia genica consiste nell’inserimento nelle cellule di un soggetto malato di una copia corretta del gene difettoso, affinché possa essere utilizzata dall’organismo per produrre una proteina, ovvero il prodotto genico, correttamente funzionante.

In teoria, la tecnica sembra semplice: si tratta di sfruttare la capacità infettiva dei virus per veicolare il gene corretto all’interno delle cellule del paziente. Nella pratica, però, le difficoltà sono molteplici. Innanzitutto, il virus deve essere modificato in modo che, pur mantenendo le sue capacità di infettare le cellule, non risulti dannoso per chi lo riceve. Soprattutto, il gene che causa la malattia deve essere stato caratterizzato: devono essere note la sua funzione, la proteina che lo codifica e le sue interazioni con le altre componenti della cellula.

Il percorso effettuato per arrivare alla definizione di questa terapia è stato tutt’altro che semplice.

La “nascita” della terapia genica
Sia le conoscenze sul DNA umano, sia quelle sulla manipolazione dei geni, si sono sviluppate verso i primi anni ’70 del nostro secolo. La storia della terapia genica vera e propria inizia nel 1990, quando per la prima volta venne trattata una bambina di 4 anni affetta da immunodeficienza combinata grave (Ada-SCID), una rara patologia che consiste in una marcata compromissione del sistema immunitario, nel tentativo di correggere il DNA dei linfociti T danneggiati. Per evitare di contrarre perfino le infezioni più banali, che potrebbero avere conseguenze anche mortali, i bambini affetti da questa malattia sono costretti a vivere in ambienti protetti e isolati dal resto del mondo.

La procedura alla base del trattamento consiste nel prelevare le cellule staminali contenute nel midollo osseo dei pazienti, modificarle in laboratorio tramite l'introduzione del vettore virale contenente il gene sano, e infine infonderle nuovamente nel paziente. Oggi questa procedura è riconosciuta a livello internazionale come modello per la messa a punto di una cura per altre malattie genetiche.

A partire dal 1989 sono stati eseguiti più di 2000 studi clinici. Inizialmente le malattie candidabili per questo tipo di terapia erano causate da un difetto in un singolo gene, quali la fibrosi cistica, l’emofilia, la distrofia muscolare e l’anemia falciforme; con gli anni, grazie ai progressi scientifici e tecnologici, si sono aggiunte numerose altre patologie come ad esempio i tumori, le malattie cardiovascolari e quelle infettive.

I primi farmaci
In Europa, la prima terapia genica è stata approvata nel novembre del 2012. Si tratta di un farmaco indicato per i soggetti che soffrono di deficit di lipoproteina lipasi (Lpdl). Questa grave malattia provoca uno squilibrio del metabolismo degli acidi grassi, danneggiando diversi organi e causando in particolar modo pancreatiti acute che possono essere mortali nel 7-30% dei casi. Fino ad oggi, per questa patologia esistevano solo cure palliative. La terapia permette di sostituire, nelle cellule del paziente, la copia malfunzionante del gene della lipoproteina lipasi (Lpl) con una copia corretta, veicolata attraverso un virus. Il farmaco è in grado di ridurre del 54% gli attacchi di pancreatite acuta e del 59% i dolori addominali causati dalla malattia.

Nonostante la terapia genica venga oggi definita come la nuova frontiera della medicina, esistono ancora diversi limiti, che comprendono aspetti legati alla sicurezza del paziente e degli operatori, alla sua efficienza, sia in termini quantitativi sia qualitativi, e alla sua selettività per un determinato bersaglio cellulare, ai costi, sia legati allo sviluppo sia alla sperimentazione, e, ovviamente, a questioni etiche e normative.


Si ringrazia la SIF – Società Italiana di Farmacologia per la collaborazione
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