Sempre più speranze di cura a chi soffre di depressione


Giovanni Biggio, Università di Cagliari, Past Presidente della Società Italiana di Farmacologia (SIF) e dal 2006 Presidente eletto della Società Italiana di Neuropsicopatolgia e dell'Italian Brain Council.

Professore, lei è un neuropsicofarmacologo, esperto del meccanismo d'azione degli psicofarmaci. Qual è stata la sua formazione prima di approdare a questa particolare branca di ricerca?
I fenomeni neurobiologici mi hanno sempre affascinato sin da quando ero uno studente universitario. Per questo, ho deciso di laurearmi con una tesi sull'argomento che ho svolto presso l'Istituto di Farmacologia diretto dal Professor Gian Luigi Gessa. Subito dopo ho fatto una breve esperienza presso il Laboratory of Chemical Pathology di Londra e dal 1974 al 1976 ho lavorato come ricercatore al National Institute of Mental Health di Washington. Sin da allora ho iniziato a occuparmi del meccanismo d'azione dei farmaci ansiolitico-sedativo-ipnotici e antidepressivi e dei meccanismi fisiologici di modulazione della sfera emozionale. Nel 1979 ho ricevuto il mio primo riconoscimento, "Il Premio Benedicenti" assegnato ogni anno dall'Università di Firenze al giovane farmacologo che più si è distinto. Il premio ha preceduto di pochi mesi la promozione a Professore Ordinario.

Oggi è coordinatore della Laurea Magistrale in Neuropsicobiologia dell'Università ed è responsabile scientifico della Sezione di Neurobiologia Sperimentale del Centro Studi per la neurofarmacologia del CNR. Di che cosa si occupa in particolare il suo staff?
L'équipe di circa 40 persone, che lavora con passione e grande professionalità sotto la mia supervisione, studia con modelli animali e molecolari le reazioni del cervello agli input ambientali, al fine di mettere a punto farmaci sempre più efficaci per la patologia mentale.

Quindi, nella cura di ansia e depressione conta solo l'efficacia del farmaco?
Assolutamente no. L'ambiente positivo svolge un ruolo cruciale. L'antidepressivo più efficace non riesce a dare i risultati sperati se il paziente non ha una buona qualità di vita. Per questo è fondamentale un approccio terapeutico multidisciplinare a questo tipo di patologia: psicologico, ambientale, psichiatrico e farmacologico. I nostri laboratori hanno da anni una proficua collaborazione con psichiatri, neurologi e ginecologi, infatti, senza un continuo scambio di informazioni con i colleghi clinici sarebbe impossibile un vero progresso in questo campo. Lavoriamo per contribuire a garantire il progresso della psicobiologia sperimentale e clinica.

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Quali sono le ultime novità nel campo degli antidepressivi?
Le nuove molecole hanno maggiore selettività: a parità di efficacia con i classici antidepressivi triciclici, cioè, hanno minori effetti collaterali come i disturbi alla prostata o quelli cardiovascolari. Inoltre stiamo cominciando a occuparci con sempre più interesse delle applicazioni della farmacogenetica e farmacogenomica, una scienza recente che dischiude orizzonti affascinanti nella ricerca e nella terapia.

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Di che cosa si tratta? Quali ricadute ha sul vostro lavoro di ricerca e sperimentazione?
Grazie alla mappatura del genoma umano, si riuscirà a stabilire se un individuo è più o meno sensibile a un farmaco o più vulnerabile ad un ambiente negativo e alla patologia e quindi si potrà prescrivere una terapia personalizzata, più efficace e con minori effetti collaterali.

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Esiste, quindi, un gene responsabile della depressione?
No. La ricerca neurobiologica degli ultimi anni ha fatto chiarezza proprio su questo punto: la depressione non è scritta in nessun gene specifico, ma esistono migliaia di geni che possono determinarla nell'interazione, sempre diversa, dell'uomo con l'ambiente che lo circonda. Il cervello dell'uomo ha un sofisticatissimo programma disegnato in modo da adattarsi in funzione degli stimoli che riceve dall'ambiente. Questo software è in grado di differenziarsi da persona a persona, tanto che anche soggetti con lo stesso patrimonio genetico (gemelli omozigoti) hanno comportamenti e interazioni diverse con l'ambiente. Non solo. Questo programma cambia e si modifica nel corso del tempo, fino alla vecchiaia.

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Secondo le ricerche più recenti, un terzo degli anziani è ansioso e molti soffrono di depressione. Che cosa succede, dal punto di vista biochimico, all'interno del cervello?
Nonostante la depressione sia ancora oggi un evento misterioso, grazie alla PET (Tomografia a Emissione di Positroni) e alla NMR (Risonanza Magnetica Nucleare), è possibile farsi un'idea delle modificazioni funzionali che avvengono nei neuroni e dei cambiamenti morfologici del cervello dei pazienti affetti da tale patologia. Alla base c'è un fenomeno fisiologico che naturalmente tende a manifestarsi in età avanzata: vale a dire, le cellule sono meno trofiche e meno capaci di elaborare segnali troppo intensi e sofisticati. Spesso una riduzione del volume dell'ippocampo, dell'amigdala e della corteccia cerebrale, strutture che hanno un ruolo sia in ambito emozionale che cognitivo, viene descritta nel cervello dei depressi. Come la fisioterapia dopo un incidente muscolare, i farmaci di nuova generazione agiscono sui fattori trofici e riescono a migliorare il trofismo dei neuroni, stimolando la formazione di nuove connessioni tra nuovi e vecchi neuroni e stimolando la produzione di nuovi neuroni.

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Professore, sui giornali spesso si parla dei rischi legati agli psicofarmaci. Sono farmaci che danno assuefazione?
A differenza degli ipnotici/ansiolitici, gli antidepressivi non danno in genere dipendenza. Al contrario, il pericolo viene soprattutto dalla sospensione prematura del trattamento. Come dicevo, la stimolazione del trofismo delle cellule, sia da parte dell'ambiente sia attraverso l'azione del farmaco, è un supporto essenziale e deve incidere quanto più possibile per permettere al cervello di "riabilitarsi" gradualmente. Per questo i nuovi protocolli terapeutici indicano che una durata ottimale del trattamento con antidepressivi non dovrebbe essere inferiore ai due anni.

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Insomma, Professore, la scienza farmacologica dà sempre più speranza di cura a chi soffre di depressione?
Certamente sì, grazie alla ricerca, alla passione dei ricercatori sia di base che clinici ed al sostegno delle imprese del farmaco.

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Un'ultima domanda: cosa ne pensa di un'iniziativa di informazione per il grande pubblico sul mondo del farmaco come il sito Farmaci e Vita?
Ritengo che questa iniziativa potrà essere di fondamentale importanza se saprà dare ai non addetti ai lavori un'informazione aggiornata, semplice e soprattutto corretta che non induca facili illusioni ma sia utile al grande pubblico per prendere coscienza dei progressi che la ricerca biomedica compie quotidianamente per garantire la salute e quindi una migliore qualità di vita al genere umano.

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