Ipertensione: un importante rischio per la salute

  Ne sono affetti, in Italia, sei ultrasessantacinquenni su dieci: non è soltanto una malattia in senso stretto, ma un importante fattore di rischio. È l'ipertensione che, se non viene trattata, può provocare insufficienza cardiaca, infarti e ictus.

La storia
Nonostante sia considerata la "piaga della modernità", poiché è favorita dalle abitudini di vita e di alimentazione tipiche dei Paesi sviluppati, l'ipertensione non è una patologia moderna: tracce della sua presenza si sono trovate persino esaminando le mummie egizie. Ma nessuno, fino al XVII secolo, aveva mai pensato di poter misurare la pressione del sangue, né che tale parametro fosse così fondamentale per il benessere della persona.
Anzi, le prime teorie sulla circolazione del sangue erano del tutto sbagliate. Ippocrate, 400 anni avanti Cristo, conosceva già le arterie e le vene, ma era convinto che queste ultime trasportassero aria. Circa 600 anni dopo, Galeno dimostrava che ambedue trasportano sangue, ma era convinto che il cuore funzionasse come una sorta di macchina per scaldare due tipi diversi di sangue, circolanti in due sistemi tra loro isolati.
La sua teoria rimase quella dominante per più di mille anni. Solo nel 1616 un medico inglese, William Harvey, dimostrò che la circolazione era una sola e ipotizzò l'esistenza di un collegamento tra il circolo arterioso e quello venoso. Trent'anni dopo, l'italiano Marcello Malpighi vide per la prima volta al microscopio i capillari arteriosi e venosi e ne descrisse la funzione.
Fu un prete inglese, Stephen Hales, che nel 1733 misurò per la prima volta la pressione del sangue, introducendo una pipetta graduata nell'arteria carotidea di un animale. Il suo sistema di misurazione era sicuramente poco utile nella pratica, ma dimostrò per la prima volta l'esistenza e le caratteristiche della pressione sanguigna e della sua relazione con il battito cardiaco. Ci vollero altri 150 anni prima di avere a disposizione uno strumento in grado di misurare la pressione senza incidere la pelle del paziente: si tratta dello sfigmomanometro di Ritter von Basch, perfezionato nel 1896 dall'italiano Scipione Riva-Rocci. Nel 1816 era stato messo a punto il primo stetoscopio, ad opera del francese René Laennec, strumento che consentiva al medico di sentire il battito cardiaco e, più avanti, di metterlo in relazione con la pressione arteriosa. Poter misurare la pressione è stato il primo passo, ma ci sono voluti molti anni prima di poter intervenire sugli effetti nefasti dell'ipertensione.
La pressione alta era considerata una forma naturale di invecchiamento, contro la quale c'era ben poco da fare. Solo negli anni Sessanta due studi, uno britannico e uno americano, dimostrarono inequivocabilmente che riducendo i valori di pressione sanguigna diminuivano anche i casi di infarto e ictus. Per intervenire su questo parametro, però, non c'erano a disposizione farmaci, ma solo una dieta priva di sali minerali (la cosiddetta dieta Kempner, seguita da pochissimi pazienti perché estremamente ristretta e insipida) oppure un intervento chirurgico per recidere, a livello lombare, le terminazioni del sistema nervoso simpatico, un metodo riservato, data la sua invasività, solo ai pazienti più gravi e più giovani.
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Le risposte della ricerca farmaceutica
I medici, i ricercatori e le imprese farmaceutiche compresero fin dagli anni Trenta l'importanza di trovare un rimedio per questo disturbo, che tra l'altro colpiva un gran numero di persone. I primi farmaci (metildopa, reserpina, pentaquina, idralazina) erano però gravati da pesanti effetti collaterali: vertigini, sonnolenza, impotenza, disturbi della visione, secchezza della bocca e stipsi.
I diuretici, commercializzati per questa indicazione a metà degli anni Cinquanta, sono stati i primi farmaci efficaci nel ridurre la pressione del sangue con minori effetti collaterali e sono tuttora indicati in alcune situazioni cliniche. La loro scoperta è curiosa perché furono i pazienti trattati con sulfonamide, sostanza utilizzata già negli anni Trenta per debellare le infezioni batteriche, ad accorgersi che la cura provocava un aumento importante della quantità di urina. Nel 1949 il cardiologo William Schwartz somministrò la sulfonamide a tre pazienti con grave scompenso cardiaco e tutti e tre migliorarono sensibilmente. Egli ritenne, però, che l'uso continuo di tale farmaco potesse risultare tossico. Il chimico Karl Beyer riuscì a modificare la formula della sulfonamide e produsse la clorotiazide. Tale farmaco, somministrato a 10 pazienti ipertesi, riportò la loro pressione entro valori normali in pochi giorni.
Subito dopo i diuretici furono messi a punto i betabloccanti, il primo dei quali fu commercializzato negli anni Sessanta, che costituirono anche, all'epoca della loro scoperta, un'innovazione nei metodi della ricerca farmacologica. Il propranololo, capostipite di questa classe, fu infatti disegnato in laboratorio dal medico e biochimico James Black, che per questa scoperta vinse anche il premio Nobel. Egli in realtà desiderava trovare una sostanza capace di bloccare l'azione dell'adrenalina sui recettori beta del cuore al fine di trattare l'angina pectoris, ma questo blocco produsse anche l'effetto di abbassare la pressione del sangue. Per la prima volta fu chiaro che si potevano creare delle molecole disegnate in laboratorio per ottenere un effetto preciso. Un meccanismo, questo, che sta alla base di tutte le scoperte farmacologiche per la cura dell'ipertensione, come i calcioantagonisti, gli inibitori dell'enzima che induce la formazione di Angiotensina II (i cosiddetti ACE-inibitori) e i più recenti sartani.
Grazie a queste scoperte, oggi la pressione alta può essere tenuta sotto controllo. Diversi studi hanno messo a confronto l'efficacia di tutti questi farmaci nelle diverse categorie di pazienti, stabilendo quale deve essere il miglior approccio al disturbo a seconda dei casi.

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Che cosa fare per prevenire
In tutti i pazienti con ipertensione è indicato anche un intervento preventivo di tipo non farmacologico. Le misure di ordine generale consigliate prevedono:
  1. il controllo dello stress: anche se di solito è impossibile eliminare tutti gli stress endogeni ed esogeni, è opportuno consigliare ai pazienti di evitare qualsiasi tensione emotiva non strettamente necessaria;
  2. il controllo della dieta: tale aspetto preventivo deve essere caratterizzato dalla riduzione dell'apporto di sodio, eliminando eventuali aggiunte di sale ai cibi, dalla riduzione dell'apporto calorico nonché di colesterolo e di grassi saturi, dall'eliminazione dell'assunzione di alcool e del fumo di sigaretta;
  3. la riduzione del peso corporeo: l'esercizio fisico regolare nei limiti imposti dalle condizioni cardiovascolari del paziente è utile non solo per controllare il peso, ma anche perché l'allenamento determina di per sé una riduzione della pressione arteriosa.
Naturalmente ogni eventuale misura di prevenzione va adottata d'accordo con il proprio medico.

Si ringrazia la SIF – Società Italiana di Farmacologia per la collaborazione
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