Alzheimer: dai farmaci molte speranze


La perdita delle capacità cognitive in età avanzata è nota fin dai tempi più antichi, ma solo nel 1906 il medico tedesco Alois Alzheimer identificò per la prima volta le alterazioni specifiche a carico del cervello che potevano essere all'origine del disturbo.

La malattia
Nel 1901 una donna di 51 anni, Auguste D., era stata ricoverata nel manicomio di Francoforte nel quale Alzheimer lavorava: la paziente presentava deficit cognitivi e del linguaggio, allucinazioni uditive e visive, sintomi paranoici e aggressività.
Nel 1903 il dottor Alzheimer si trasferì a Monaco per lavorare con Emil Kraepelin, uno dei più illustri psichiatri allora in attività. Quando Auguste D. morì, nell'aprile del 1906, i due medici ottennero il cervello della paziente per i loro studi: osservarono la presenza di placche e fibrille di materiale traslucido a livello della corteccia cerebrale e attribuirono la demenza di cui la donna era affetta a queste alterazioni. Il caso fu presentato nel 1907 a un congresso psichiatrico e la patologia evidenziata venne quindi battezzata con il nome dello scopritore.

La diagnosi
L'accumulo di frazioni proteiche che si depositano in forma anomala all'interno dei neuroni cerebrali (le cosiddette placche amiloidee e grovigli neurofibrillari) è la caratteristica essenziale per la diagnosi della malattia, che può essere formulata con certezza solo post mortem (esame autoptico sul cervello) o con una biopsia cerebrale, pratica invasiva che viene effettuata molto raramente. La diagnosi, in genere, si basa sulle manifestazioni cliniche della malattia, quali alterazioni della memoria e disturbi del comportamento, nonché su alterazioni di alcuni parametri morfometrici e funzionali cerebrali individuabili attraverso la diagnostica strumentale (ad esempio TAC, RMN, PET).
I meccanismi che conducono alla formazione delle placche e dei grovigli non sono ancora del tutto conosciuti.

La diffusione
L'Alzheimer è la più comune causa di demenza. Secondo l'ultimo Rapporto mondiale di Alzheimer Disease's International oggi nel mondo le persone affette da demenza sono 36 milioni: un numero destinato a raddoppiare nel 2030 e triplicare nel 2050, a fronte anche del progressivo invecchiamento della popolazione.

In Italia si stimano in 1 milione gli italiani con demenza (il 63% con più di 80 anni) e tra il 50-70% di questi soffre di Alzheimer. Nel paese, infatti, sono oltre 500.000 i malati di Alzheimer.

La patologia si manifesta con un declino progressivo delle funzioni intellettive e della memoria, oltre che con alterazioni della personalità e del comportamento. Può presentare il suo esordio in forma tardiva (ovvero con manifestazioni che compaiono dopo i 65 anni), oppure precoce (prima dei 65 anni). La suddivisione in sottotipi dipende dalle caratteristiche della malattia, ma anche dalla presenza o meno di alcuni geni alterati.
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I farmaci
La malattia di Alzheimer sembra essere caratterizzata dalla riduzione di una sostanza (acetilcolina) coinvolta in numerosi processi ed attività del sistema nervoso centrale. Lavorando su questa ipotesi, la ricerca farmacologica ha messo a punto, nel corso dell'ultimo decennio, i primi farmaci capaci di rallentare la comparsa dei sintomi della malattia: donepezil, rivastigmina e galantamina.
Un altro farmaco capace di migliorare la funzionalità dei neuroni è la memantina.
La strada da percorrere per arrivare ad una cura efficace è ancora lunga ed è probabile che, come già accade per altre patologie anche meno complesse, si debba ricorrere all'associazione di più farmaci.
Comunque, l'impegno di molti ricercatori e delle imprese del farmaco che li sostengono fa sperare in nuove terapie, soprattutto volte alla possibilità di interferire con i meccanismi fisiopatologici alla base della malattia; terapie in grado, quindi, non soltanto di apportare benefici sintomatici ma anche di rallentare l'evoluzione della malattia.


Si ringrazia la SIF – Società Italiana di Farmacologia per la collaborazione
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